27 luglio 2009

La danza del gabbiano - Andrea Camilleri

Una bianca fiammata si accende sulla spiaggia di primo mattino. Divampa il battibatti disperato, il frullo convulso di un gabbiano, che strepitando a vuoto, e con torsioni dolorose, di sotto in su si avvita intorno al becco disperatamente puntato sul cielo; e mette in danza, solitaria e terrificante, gli squassi e gli spasimi arrantolati della propria morte.
E' una prefigurazione sinistra, questa, dell'intonazione lugubre e del ritmo giroscopico del romanzo: che fa perno sulla misteriosa scomparsa dal commissariato di Vigàta dell'ispettore Fazio; su cadaveri restituiti dai vortici ciechi di pozzi trivellati in terre aspre e desolate; su esistenze nascoste e ambigue, passioni tristi, seduzioni basse e chiacchiere da cuscino; su binocoli e cannocchiali, voyeurismi pericolosi e cleptomanie gaglioffe; su un traffico di armi chimiche con contorno di canaglie politiche; e su una sedia vuota, in una stanza chiusa, tra impropri e vergognosi strumenti di tortura, schizzi di sangue rappresi, tanfi di morte e torbidumi, e segni sparsi di una danza di costrizione, irrituale e atrocemente scomposta.
L'orrore si riverbera sulla coscienza offesa del commissario Montalbano. Intride la trama del romanzo. E mentre Montalbano ricolloca le tante tessere di una scompaginata storia criminale, non può sottrarsi alla sensazione che tutto si avvolga in calce allo sconcerto suscitatogli dalla sarabanda di un gabbiano in agonia: nessuno fa caso all'allarme di un gabbiano che all'improvviso stramazza, all'avvilimento degli uccelli marini che disertano le battigie per contendere ai topi le discariche, al mare che perde i suoi aromi, pur sotto un cielo che sa ancora recensire stupendi notturni leopardiani.
La storia è dura. Ma l'indagine è sottilmente umoristica.

Recensione

Non mancano i tratti di continuità a questo nuovo poliziesco di Camilleri: l'appuntato Catarella continua a sfondare porte aperte, il commissario Montalbano alimenta le proprie paturnie narcisistiche sulla paura della vecchiaia, Livia rimane un rapporto telefonico, quasi un alter ego femminile, il dottor Lattes della questura di Montelusa continua a informarsi mellifluo sulla (sacra) famiglia che non c'è.

Il contesto - considerate anche le dimensioni ridotte in termini di foliazione - è adatto per passare un pomeriggio molto piacevole sotto l'ombrellone, visto che il caldo da cui il commissario è ancora una volta "assammarato" pare quasi di sentirlo, come la vampa d'agosto, anche al lettore. E anche per fare qualche riflessione, se proprio non se ne può fare a meno.
Come il dialetto, un registro dell'anima in fondo, sembra farsi, a partire dalle prime inchieste del commissario vigatese, sempre più forte, a volte oscuro ed enigmatico, quasi una lingua da imparare, così anche la caratterizzazione di Salvo Montalbano continua, scavando nella sua mente sempre più profonda e incisiva. Il commissario è cresciuto, ha imparato come sbrigarsela con la burocrazia, la politica e l'informazione. Non si lascia ingabbiare dalle situazioni esterne: è preso soprattutto dal confronto con se stesso, in fondo è un solitario, a volte anche un po' misantropo.
Il sottofondo pirandelliano aumenta negli ultimi gialli, l'ironia si fa tanto più pesante ed essenziale (chi crederebbe alla pantomima del "double scrocson"?) quanto più Montalbano si rende conto che la realtà assomiglia sempre più a un tragicomico gioco di personaggi in cerca d'autore.

Il terrore con cui il commissario si confronta stavolta è quello della morte. Non la sua, con quella, con la paura di invecchiare e di non reggere più alle pressioni, il nostro Salvo ha già consumato la sua sfida in passato e ne è uscito vincitore: ha imparato a sopravvivere in un mondo di squali, senza rispetto e senza dignità, a cavarsela senza scendere a compromessi anche se rinunciando alle furiose astrattezze degli ideali. Del resto ormai non c'è più religione: anche i mafiosi vanno a trans, dunque perché stupirsi di papi & veline? La lezione l'ha appresa: cedere al fascino della femmina siciliana a cinquantasette anni sarebbe quasi ridicolo, e pure sorprendersi di come vanno certe faccende tra politica e malavita risulterebbe ingenuo.
Tutto questo rimane confinato a una tirata iniziale e si ritrova condensato nel modo superbamente gattopardesco con cui il nostro si tira fuori dalla vicenda senza impantanarcisi alla fine.

Non si meraviglia più facilmente, Montalbano. Davanti alla crudeltà umana e al mistero della morte e della tortura, però è dura rimanere impassibili. Questo proprio fa fatica a digerirlo, e si sente nella crudezza sanguigna delle descrizioni anatomiche, nei particolari scabrosi sospesi tra il non detto e il suggerito, nel senso di perversione e sensualità che invade l'anima come una ruggine, corrodendola e lasciandola marcia, fino al vomito.

In un'intervista Camilleri, commentando la morte molto ravvicinata di due colleghi, Izzo e Vázquez Montalbán, e i cattivi rapporti con i loro personaggi seriali, sosteneva di voler continuare la sua liaison con Montalbano, pur considerandolo un po' una seccatura, almeno per motivi scaramantici.
Lunga vita a Montalbano, dunque!

Dettagli del libro

  • Titolo: La danza del gabbiano
  • Autore: Andrea Camilleri
  • Editore: Sellerio
  • Data di Pubblicazione: 2009
  • Collana: La Memoria
  • ISBN-13: 9788838923852
  • Pagine: 271
  • Formato - Prezzo: Brossura - 13,00 €

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