29 luglio 2010

Le due città - Charles Dickens

Romanzo storico a forti tinte, Le due città narra le vicende private di un gruppo di persone coinvolte nel vortice degli eventi della Rivoluzione francese e del successivo periodo del Terrore.
Sebbene l'ambientazione, tra Londra e Parigi - le due città del titolo - differisca notevolmente dall'Inghilterra vittoriana, cui il romanziere ha quasi sempre attinto per i suoi lavori, quest'opera contiene tutti i classici temi dickensiani: dalla povertà alla nobiltà di spirito, dal sacrificio alla redenzione.
Considerato dall'autore stesso uno dei suoi più riusciti esiti narrativi, Le due città è un testo che appassiona il lettore sin dalla prima pagina per il suo mescolare verità storica e finzione, ricerca erudita e capacità di rappresentazione delle sofferenze umane.

Recensione

Un classico, anche se non tra i più conosciuti, del romanzo inglese dell'Ottocento dall'autore impegnato per eccellenza nel genere a metà tra sociale e storico, racconta la storia di due famiglie, Manette ed Evremonde, separate dal ceto di provenienza, e riunite dal destino nel turbine sanguinario della Rivoluzione Francese. Per i lettori della metà dell'Ottocento leggere del Terrore giacobino non doveva essere poi tanto diverso da quanto non lo sia per noi leggere un racconto della 2a Guerra Mondiale.
L'orrore per gli eccessi di Mme Guillotine - e per gli isolani compatrioti di Dickens anche le paure legate alla minaccia bonapartista - non era ancora del tutto scemato e la consapevolezza che essi erano il frutto velenoso di un ancien regime ingiusto e oppressivo, tanto quanto duro a morire stentava ancora a mettere radici. In questo scenario il significato 'sociale' del romanzo dickensiano si pone accanto, sia pure con le sue fortissime diversità, ai successivi sviluppi del naturalismo letterario francese.

Dickens condanna l'ignobiltà di una casta che aveva perso, in Francia, il diritto a rivendicare il ruolo di guida morale e civile della nazione e insieme anche la crudeltà scaturita dall'opposizione a quei soprusi. La saga degli Evremonde, schiatta di nobili francesi oppressori della plebe, il cui discendente, che aveva rifiutato l'eredità in nome della propria coscienza morale, si trova a pagare incolpevole le ingiustizie dei padri, sembra solo confermare che lo spargimento di sangue invoca altro sangue in espiazione.

Le due città evocano, nel parallelismo - anche se con esiti diversi - delle vicende giudiziarie di Darnay/Evremonde a Londra e Parigi, una sorta di dualismo tra l'equilibrio del sistema anglosassone e l'estremismo dei Lumi francesi. Una simile contrapposizione si trova, anche nella somiglianza fisica che per due volte assume un significato salvifico -e doppiamente salvifico, quando serve anche come riscatto delle proprie nefandezze - nel duo Darnay/Carton. Uniti e divisi dall'amore per la stessa donna i due finiscono per formare quasi un unico personaggio dalle molteplici sfaccettature.

Il racconto non ha un protagonista principale: tutti i suoi personaggi fanno parte di una storia corale, la cui composizione arriva alla fine attraverso un sacrificio scelto e perciò atto a redimere. Nella semplicità borghese della storia - i personaggi coinvolti sono un medico, un funzionario di banca, un'istitutore, un vinaio - si agita sotto traccia il tema delle colpe dei padri che ricadono sui figli e della rottura, per mezzo appunto di un sacrificio quasi eroico, della catena della colpa. Emergono, ed è forse uno dei primi casi in letteratura, le folle come protagoniste: la massa umana, che assalta la Bastiglia, prigione simbolo dell'oppressione feudale, dove era stato imprigionato attraverso le famigerate lèttres de cachet - in pratica dei mandati d'arresto in bianco - anche il vecchio Manette, si identifica fisicamente nel quartiere di Saint Antoine.

Il delirio della folla assetata di sangue trova le sue furie in Mme Defarges e la sua amica, ribattezzatasi Vendetta, sinistramente intente a lavorare a maglia inflessibili liste di proscrizione; il suo giustiziere nel boia Samson; il suo circo nelle carrette che portano i condannati al patibolo sotto gli occhi di spettatori pronti a contare la razione quotidiana di teste mozzate con appetito insaziabile.

Sembra dominare su tutto lo svolgimento del racconto un destino beffardo, per cui lo stesso Manette si trasforma in accusatore dell'amato genero ma il lieto fine è, inevitabilmente, garantito dalla fede in sorta di provvidenza che non può - su questo il lettore non ha dubbi né tanto meno suspence - lasciar soffrire ingiustamente, o meglio senza criterio, degli esseri umani che si sono comportati secondo giustezza. Mancano le 'tinte forti', onestamente, e di sicuro la narrazione risente dell'essere modulata per la pubblicazione a puntate in appendice. Così come lo stile rischia di apparire, almeno secondo il gusto moderno, sovraccarico di pathos: troppo spazio lasciato alla cornice storica ridondante di dettagli a scapito, in genere, dei singoli personaggi, che paiono non del tutto cesellati.
Ma privilegiare il lato descrittivo rispetto all'introspezione è uno dei tratti salienti della narrativa di Dickens.

Giudizio:

+3stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Le due città
  • Titolo originale: A Tale of two Cities
  • Autore: Charles Dickens
  • Traduttore: Silvio Spaventa Filippi
  • Editore: Newton Compton
  • Data di Pubblicazione: 2008
  • ISBN-13: 9788854110977
  • Pagine: 252
  • Formato - Prezzo: Brossura - 6,00 Euro

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