30 gennaio 2010

Delfini - Banana Yoshimoto

Kimiko, giovane scrittrice di romanzi d'amore, esce con Goro. Una sera, dopo una visita all'acquario di Tokio per vedere i delfini, fanno l'amore, ma Kimiko capisce subito che la loro storia non ha futuro; Goro convive infatti con un'altra donna, più grande di lui e dalla quale non vuole separarsi. Kimiko decide allora di abbandonare Tokio per trovare rifugio in un tempio vicino al mare dove conosce Mami, ragazza dalle doti soprannaturali. È da lei che viene a sapere di essere incinta. Le notti di Kimiko, i suoi sogni, si popolano di delfini, meravigliose creature che l'accompagnano, insieme ad Akane, la bambina che porta in grembo, verso un futuro che non si era immaginata.

Recensione

A dir la verità, io con Banana Yoshimoto avevo deciso di smettere. Lo so, sembro una tossica che c'è ricascata.
Il fatto è che lei è stata la mia biciclettina con le rotelle: ho iniziato a interessarmi di narrativa giapponese con i suoi libri e all'epoca mi era sembrata fantastica. Poi ho scoperto Mishima, Murakami, Yasushi, Tanabata, Dazai, Yoshikawa e diciamo che l'ho in qualche modo ridotta a dimensioni meno mitologiche. Posso anche essere passata a biciclette "da grande", ma la prima bici non si scorda mai... ed ecco perché non ho potuto far a meno di prendere anche quest'ultimo, nonostante non fossi rimasta granché impressionata dal precedente (Chie-chan ed io).

Sotto un certo punto di vista, se inquadrato nella produzione dell'autrice, è parecchio classico. Ci sono tutti i suoi "marchi di fabbrica" sia a livello di stile (narrazione in prima persona, fraseggio pulito, termini semplici al limite dello scarno), che di personaggi (protagonista femminile, situazione di "rottura" degli equilibri, un pizzico di sovrannaturale che in alcuni punti funge da deus ex machina, un amore che non è mai esasperato o portato direttamente al centro della scena), che di tematiche (la morte, l'amore, il cambiamento, la famiglia).

Nello stesso tempo però l'ho trovato diverso dagli altri. In qualche modo è più lento e... caldo. Nel leggerlo si ha la sensazione di nuotare come un delfino - o come un embrione - dentro il liquido amniotico e seguire, con lentezza, senza fretta, i cambiamenti che la natura impone. Noi possiamo anche tentare di accelerare il ritmo, ignorare i nostri corpi e imporre loro di pagare il prezzo del nostro stile di vita, ma ci sono circostanze in cui ciò che noi pretendiamo non conta e il fisico si riappropria di una sua profonda autonomia. Come in gravidanza appunto. In questo senso, non mi è affatto dispiaciuto.

Anche se.
Già, anche se, a mio modesto avviso, questo libro ha diversi punti deboli.
Uno è rappresentato dai personaggi: nonostante la narrazione in prima persona, che dovrebbe indurre una forte empatia nel lettore, mi sono sembrati - a partire da Kimiko - tutti abbastanza piatti, bidimensionali. E molto freddi: è tutto così logico, controllato, misurato. Al centro di tutto c'è il triangolo amoroso a cui vertici stanno Kimiko, Goro e la sua donna, Yukiko. Viene ribadito lungo tutto il libro come questi tre vivano in una situazione anomala... quando alla fine non è nulla di diverso da un cosiddetto "rapporto libero". Anche la scelta di Kimiko, che non vuole che Goro la sposi (lo stoppa prima ancora che lui glielo chieda: "Tieni presente che se tu arrivassi alla conclusione di volermi sposare, io ti direi di no") viene presentata come profondamente rivoluzionaria, quando di fatto non la è. Lo sarebbe stato, se fossimo ancora nell'era Meiji, penso. Nel ventunesimo secolo - con tutto che la mentalità giapponese è diversa di certo dalla mia - la cosa mi suona un tantinello retrò.
Inoltre, e questo mi ha infastidita, ho notato una certa superficialità nel trattare il tema delle donne maltrattate. Il rapporto di coppia è infatti in qualche modo uno snodo centrale del racconto e viene ribadito più volte come gli uomini, in fondo, non cerchino altro, nelle proprie compagne, che una madre. Posizione condivisibile o no. In ogni caso, la cosa diventa ancora più evidente in quanto il tempio in cui Kimiko scappa è un rifugio per donne in difficoltà. Su tutto quello che è il dramma di queste donne, la Yoshimoto sorvola con grazia e il tempio sembra più una comune hippy al femminile (posto che una cosa del genere sia mai esistita).
Non ho potuto farci nulla: a me sono venuti in mente il rifugio per donne maltrattate che c'è in Rose Madder e quello in Insomnia. E ho pensato: "Questa, una donna maltrattata non l'ha mai vista, altro che." Mi ha dato noia non tanto per una questione di verosimiglianza, quanto perché mi è sembrata una mancanza di rispetto utilizzare come mero espediente narrativo qualcosa che è invece una realtà tanto drammatica.

Se si passa oltre (magari sono io ad essere particolarmente suscettibile in questo senso) il libro non è malaccio. Se siete preparati al fatto che è una scrittrice - brava, per carità - ma sempre uguale a se stessa e che la storia non starebbe male tradotta in un manga, vale la pena leggerlo. Lo si fa in un paio d'ore.

Ora, vorrei precisare una cosa a costo d'esser pignola: si tratta di un libro del 2006, anche se da noi arriva solo ora. Pertanto, parlare di una "nuova area di esperienza emozionale" mi sembra un tantino fuori luogo: per essere nuova, è vecchia di quattro anni.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Delfini
  • Titolo originale: Iruka
  • Autore: Banana Yoshimoto
  • Traduttore: Alessandro Giovanni Gerevini
  • Editore: Feltrinelli
  • Data di Pubblicazione: Gennaio 2010
  • Collana: I Canguri
  • ISBN-13: 9788807702075
  • Pagine: 175
  • Formato - Prezzo: Brossura - 12.00 Euro

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